martedì 31 gennaio 2012

Voglio un amore doloroso - Gabriele D'Annunzio (1863 – 1938)



VOGLIO UN AMORE DOLOROSO

Voglio un amore doloroso, lento, 
che lento sia come una lenta morte, 
e senza fine (voglio che più forte
sia della morte) e senza mutamento. 
Voglio che senza tregua in un tormento 
occulto sien le nostre anime assorte; 
e un mare sia presso a le nostre porte, 
solo, che pianga in un silenzio intento. 
Voglio che sia la torre alta granito, 
ed alta sia così che nel sereno 
sembri attingere il grande astro polare. 
Voglio un letto di porpora, e trovare 
in quell'ombra giacendo su quel seno, 
come in fondo a un sepolcro, l'Infinito.


lunedì 30 gennaio 2012

Architettura moderna: Chiesa di Tor Tre Teste - Roma




La Parrocchia di « Dives in Misericordia » (Dio Padre Misericordioso), anche detta Chiesa di Tor Tre Teste dal nome della zona di Roma nella quale è ubicata, è un bell’esempio di come l’architettutra contemporanea possa cambiare non solo il volto, ma anche la vita di una città o, in questo caso, di un quartiere. La chiesa potrebbe non piacere, ma difficilmente non incuriosisce. A visitarla sono stati in tanti fin dall’inizio, addetti ai lavori (oltre 7.000 tra ingegneri e architetti solo in fase di cantiere), curiosi e turisti. Tor Tre Teste si è così trasformato da anonimo quartiere di periferia in meta turistica, sotto gli occhi un po’ stupiti e orgogliosi dei parrocchiani.
La posa della prima pietra risale al 1998. I lavori sono proseguiti per più di cinque anni tra intoppi e imprevisti, fino all'inaugurazione e l’apertura al culto alle ore 16 di domenica 26 ottobre 2003,  nel 25° anniversario del pontificato di Giovanni Paolo II. 
Oggi, arrivati nel quartiere, non potrete non notare le tre vele che svettano, bianchissime, dando forma alla chiesa.
Il progetto di questa chiesa è stato affidato da Papa Giovanni Paolo II all'architetto Richard Meier che, per quanto laico e non praticante, è ebreo. Le tre vele di cemento levigato e bianchissimo simboleggiano la Trinità. La costruzione simboleggia una grossa barca che rappresenta l'ingresso della Chiesa nel nuovo millennio.

L'interno
L'interno dà un senso di ambiente aperto; ritroviamo il candore e la trasparenza come elementi dominanti, in un’atmosfera di sobrio e asimmetrico rigore. Le nuvole catturate dai tetti di vetro, il bianco smagliante delle pareti nude, nessuna immagine sacra esposta, rendono la chiesa sensibile al tempo naturale che le scorre attorno e straordinariamente luminosa. E’ quasi totalmente assente il gioco di ombre e luce che ha caratterizzato gli edifici sacri nella storia. L’unica eccezione è la strambatura prospettica sopra il presbiterio, con un’apertura esterna verso il cielo, che gioca con le ombre e avvolge con luce naturale il crocifisso ligneo del Seicento, catturando lo sguardo dei visitatori. Altare, fonte battesimale e acquasantiere a disegno geometrico essenziale e privi di qualsiasi decoro, sono realizzate in blocchi lapidei di travertino «bianco sporco», stesso materiale usato per il pavimento, un omaggio alla tradizione romana. In legno chiaro di ciliegio il matroneo e i banchi. Sul lato sinistra della chiesa i confessionali, una struttura modernissima: piccole cabine schermate da una griglia il legno con una porta, che sostituiscono l’antico inginocchiatoio e la grata che divideva l’uomo dal sacerdote. L'organo è collocato su una balconata, all’interno di un grande riquadro sopra all'ingresso, che si pone quasi come contraltare dell'elemento che inquadra il crocifisso.

domenica 29 gennaio 2012

I giorni della merla



Il nome deriverebbe da una leggenda secondo la quale, per ripararsi dal gran freddo, una merla e i suoi pulcini, in origine bianchi, si rifugiarono dentro un comignolo, dal quale emersero il 1º febbraio, tutti neri a causa della fuliggine. Da quel giorno tutti i merli furono neri.
Secondo una versione più elaborata della leggenda una merla, con uno splendido candido piumaggio, era regolarmente strapazzata da Gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva ad aspettare che la merla uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al riparo, per tutto il mese di gennaio, che allora aveva solo 28 giorni. L'ultimo giorno del mese, la merla pensando di aver ingannato il cattivo gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio si risentì talmente tanto che chiese in prestito tre giorni a Febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era annerito a causa del fumo e così rimase per sempre con le piume nere.
Come in tutte le leggende si nasconde un fondo di verità, anche in questa versione possiamo trovarne un po', infatti nel calendario romano il mese di gennaio aveva solo 29 giorni, che probabilmente con il passare degli anni e del tramandarsi oralmente si tramutarono in 31. Sempre secondo la leggenda, se i Giorni della Merla sono freddi, la Primavera sarà bella, se sono caldi la Primavera arriverà in ritardo.
Per quanto la leggenda parli di una merla, nella realtà questi uccelli presentano un forte dimorfismo sessuale nella livrea, che è bruna - becco incluso - nelle femmine, mentre è nera brillante - con becco giallo-arancione - nel maschio.

I giorni della merla nella tradizione contadina del Friuli 
Un tempo, i contadini del Friuli osservavano le condizioni meteorologiche dei tre giorni della merla e, sulla base di esse, facevano le previsioni sul tempo dei mesi di gennaio, febbraio e marzo. Se il 29 era molto freddo e soleggiato anche, l'ormai passato gennaio, era stato per la maggior parte dei giorni freddo ma soleggiato, se il 30 era piovoso e più mite, anche la maggior parte del mese di febbraio sarà piovoso e le temperature saranno più miti.


sabato 28 gennaio 2012

Artemisia Gentileschi (Roma 1593 – Napoli 1653)


'Giuditta che decapita Oloferne', 1612-1613, Museo di Capodimonte, Napoli

Oggi vorrei parlarvi di una donna artista: Artemisia Gentileschi, il quadro: Giuditta che decapita Oloferne.
Si dice spesso che le opere d’arte femminili siano delicate, dolci, tenere...  Direi che nessuno di questi termini siano adatti ad Artemisia che è donna invece di forte personalità, che crea una pittura potente, passionale, di forte impatto emotivo. Certo le esperienze della vita segnano le persone, questo lo sappiamo, e per Artemisia lo stupro è stato un'esperienza da cui non può affrancarsi. Artemisia dovrà anche subire un processo nel 1612,  intentato contro il suo stupratore (un pittore anche lui) in seguito al quale, per attestarne la veridicità delle sue parole, verrà sottoposta a tortura (pensate ai metodi del tempo). Figlia di un grande pittore: Orazio Gentileschi, lei formatasi nell’ambiente romano, conosceva di certo le opere del Caravaggio.
Ma Veniamo al quadro: Oloferne giace sul letto, Giuditta sta già affondando la spada sul suo collo dal quale esce uno sprizzo di sangue, la sua ancella non assiste passivamente, ma sta reggendo le mani di Oloferne per impedirgli di muoversi; quanta forza! Quanta determinazione! Eppure è una pittura femminile, tutt’altro che delicata e tenera, una pittura che emana forza e passionalità, la forza di una donna che esige il suo riscatto. Trovo questo quadro di una potenza suprema, di una forza straordinaria, Giuditta ha il volto di Artemisia, non è solo identificazione con il personaggio biblico, utilizzando le armi della sua personalità e delle sue qualità artistiche contro i pregiudizi che si esprimevano nei confronti delle donne pittrici, ma un manifesto per rivendicare la dignità femminile anche nell'arte.
Sarebbe troppo lungo parlarvi di lei e della sua pittura, per questo vi rimando alla mostra di Milano.  *Artemisia Gentileschi, Milano - Palazzo Reale dal 22/09/2011 al 29/01/2012*
A lezione dalla prof Iris Iride

venerdì 27 gennaio 2012

27 gennaio, giorno della memoria...

TEREZIN

Una macchia di sporco dentro sudice mura
e tutt’attorno il filo spinato:
30.000 dormono
e quando si sveglieranno
vedranno il mare
del loro sangue.

Sono stato bambino tre anni fa.
Allora sognavo altri mondi.
Ora non sono più un bambino,
ho visto gli incendi
e troppo presto sono diventato grande.

Ho conosciuto la paura,
le parole di sangue, i giorni assassinati:
dov’è il Babau di un tempo?
Ma forse questo non è che un sogno
e io ritornerò laggiù con la mia infanzia.

Infanzia, fiore di roseto,
mormorante campana dei miei sogni,
come madre che culla il figlio
con l’amore traboccante
della sua maternità.

Infanzia miserabile catena
che ti lega al nemico e alla forca.
Miserabile infanzia, che dentro il suo squallore
già distingue il bene e il male.

Laggiù dove l’infanzia dolcemente riposa
nelle piccole aiuole di un parco,
laggiù, in quella casa, qualcosa si è spezzato
quando su me è caduto il disprezzo:
laggiù nei giardini o nei fiori
o sul seno materno, dove io sono nato
per piangere...

Alla luce di una candela m’addormento
forse per capire un giorno
che io ero una ben piccola cosa,
piccola come il coro dei 30.000,
come la loro vita che dorme
laggiù nei campi,
che dorme e si sveglierà,
aprirà gli occhi
e per non vedere troppo
si lascerà riprendere dal sonno...
Hanus Hachenburg (1929 – 1943)

Cimitero ebraico a Theresienstadt (Praga)



Se comprendere è impossibile,
conoscere è necessario,
perché ciò che è accaduto può ritornare,
le coscienze possono nuovamente
essere sedotte e oscurate:
anche le nostre.
(Primo Levi)



CHI NON CONOSCE LA STORIA E’ DESTINATO A RIVIVERLA


הבה נגילה

CRISTO ALLA PACE
Cristo alla pace
del Tuo supplizio
nuda rugiada
era il Tuo sangue.
Sereno poeta,
fratello ferito,
Tu ci vedevi
coi nostri corpi
splendidi in nidi
di eternità!
Poi siamo morti.
E a che ci avrebbero
brillato i pugni
e i neri chiodi,
se il Tuo perdono
non ci guardava
da un giorno eterno
di compassione?

P.P.Pasolini  (da L'usignolo della Chiesa Cattolica)



Molti anni fa in una trasferta con la mia corale, ci recammo ad Ulm, in Germania, ospiti di coristi tedeschi. Lungo il tragitto, con una breve deviazione di percorso, c'era Dachau. Nessuno dei coristi voleva andarci, tranne un piccolo gruppetto, compresa me, mio marito e mia figlia, che allora aveva terminato gli esami di quinta elementare. Alcuni anni dopo ritornammo a far visita ai coristi che ci avevano ospitati ed al ritorno volemmo fermarci a visitare il campo di concentramento. Chiedemmo in paese a più persone, fermate per strada, dove fosse ubicato, ma nessuno seppe darci risposta... Non esisteva un solo segnale stradale che lo indicasse... Poi finalmente trovammo altri turisti che ci diedero le indicazioni per arrivarci. Ecco, quello che mi ha sconvolto, è stato proprio il voler ignorarne l'esistenza!!! CANCELLATO!!!






giovedì 26 gennaio 2012

Non cantare più - Fernando Pessoa (1888 – 1935)





NON CANTARE PIÙ'

Voglio il silenzio
per dormire
qualsiasi ricordo
della voce udita,
che fu perduta
perché l'ho udita....
All'improvviso,
pauso in ciò che penso.
Scrivere è necessario
Vivere non è necessario
Non sono niente
Non sarò mai niente.
Non posso volere d'essere niente.
A parte questo
ho in me, tutti i sogni del mondo.