mercoledì 29 febbraio 2012

Voce d’acqua - Giulia Rossi





Voce d’acqua

Arriva immediata.
Improvvisa e silente.
Quando tutto sembra lieve.
Quando una spilla di luna danza negli orti e arriccia d'argento il fianco liscio del pergolato.
Quando il silenzio si veste d'inganno e dissolve il mio tempo in un frullo d'oriente.

Arriva furtiva.
Repentina e spavalda.
Sciaborda leggera fra seni di sole nel grembo impaziente che sbircia sentieri.
Vagabonda monella che s'addentra curiosa fra i vicoli vasti d'un labirinto d'intesa.
Sul margine spoglio che beve il mistero.
Sul richiamo pagano che imbastisce canzoni.
In fondo agli occhi un bivacco gitano.
Le briglie dissolte fra le dita del vento.
Goccia nuda su sghembi sagrati.
Aperta all'oro che galoppa sapori.
Appesa alla brezza che scartoccia pensieri.
Che frantuma certezze e cavalca segreti.
Che divora l'istante.

Voce d’acqua.
Cristallina e bugiarda.
Selvaggia sibilla a capofitto nella notte.
A precipizio sulla pelle.
Vertigine muta fra mura violate.
Rumore di more fra le pieghe dell’anima.
A due passi dal cuore..


Sia la poesia che il dipinto sono di una cara amica a cui devo molto: con lei il mio viaggio nel mondo degli haiku ha preso, senza ombra di dubbio, un cammino nuovo... Grazie Giulia!

martedì 28 febbraio 2012

Noi saremo - Paul Verlaine (Metz, 30 marzo 1844 – Parigi, 8 gennaio 1896)





Noi saremo
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera

Quanto al mondo, che sia come noi, dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?


lunedì 27 febbraio 2012

Da "Silenzio" di Romano Battaglia (Marina di Pietrasanta, 31 luglio 1933)





§


E' molto difficile cancellare i segni profondi che gli avvenimenti hanno impresso sulla nostra anima.
Siamo il frutto del nostro passato, siamo la vita stessa che ci è cresciuta dentro come il fusto di un albero con i colori, i profumi e le imperfezioni che i venti e le piogge hanno fissato per sempre sulla sua corteccia.
Siamo anche il tempo trascorso: sta in noi scegliere se diventare uomini nuovi o rimanere vecchi come i nostri anni e i nostri ricordi.
Dobbiamo trovare il coraggio di alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano l'imbarcazione. Cercare di dare un senso alla nostra esistenza può esasperare il nostro animo , ma una vita priva di questo significato rappresenta la tortura del desiderio e dell'inquietudine.




martedì 21 febbraio 2012

Voglio sapere...





Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore...
Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per l’amore, per i sogni, per l’avventura di essere vivo. Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro. Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo; se puoi ballare pazzamente e lasciare l’estasi riempirti fino alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realisti, o di ricordarci le limitazioni degli esseri umani. Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera. Voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso, se puoi subire l’accusa di un tradimento e non tradire la tua anima. Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia. Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni. Se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza. Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo o mio e continuare a gridare all’argento di una luna piena: SI! Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai, mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due, e fare quel che si deve fare per i bambini. Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui, voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere. Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove, voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l’ha fatto. Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso, e se veramente ti piace la compagnia che hai nei momenti vuoti.
Donna indiana della tribù Oriah



lunedì 20 febbraio 2012

A Trieste Sala Comunale d’Arte: Caffè storici e luoghi della città del caffè in mostra.



Ritratto di Saba del pittore Furio Bomben


Caffè storici e luoghi della città del caffè in mostra fino al 26 febbraio nell’unica bellissima piazza italiana che si apre sul mare e che all’Unità italiana è dedicata.

A Trieste la Sala Comunale d’Arte espone i quadri di Furio Bomben. Il locale che ospita la mostra era un caffè, luogo d’incontro dagli intellettuali dei primi anni del secolo scorso. Lo racconta lo scrittore Giani Stuparich dalle pagine di “Caffè letterari” e, pensando al fratello Carlo e all’amico Scipio Slataper che dalla guerra non avevano fatto ritorno, scrive:

“Quel tavolo del Caffè Garibaldi, sotto il municipio, tra le sette e le nove di sera degli anni che seguirono all’altra guerra è passato alla storia. Trieste non ebbe forse mai un affiatamento di spiriti così vasto.”  Cita e caratterizza gli spiriti che animavano il locale: Julius Kugy, spirito europeo, James Joyce, spirito universale, Virgilio Giotti, Guido Voghera, Silvio Pittoni, fratello del deputato socialista, il pittore klimtiano Timmel e Roberto, Bobi Bazlen, Svevo e Bolaffio, Giotti il pittore Schiffrer. Nel tempo si aggiunse Pierantonio Quarantotti Gambini mentre altri già se ne erano allontanati. Il pittore ha voluto fermare Saba al tavolino del locale. Saba da quel caffè se ne era andato presto e aveva preferito celebrare la sua ricerca di verità al Caffè Tergeste. Ora alcuni di quei personaggi che animavano il Caffè Garibaldi si trovano nuovamente in quei locali, sulle tele di Furio Bomben. Un pezzo di storia e letteratura raccontato con pastello e carboncino, china, matita e trasparenze color caffè.

Se siete a Trieste o pensate di passarci visitate la mosrtra, ne vale la pena, ci troverete  il Caffè Tommaseo, il Caffè San Marco e altri che non ci sono più. E poi per bere un caffè vi resterà solo l’imbarazzo della scelta.

Le notizie sul Caffè Garibaldi sono tratte da: Al Caffè con Stuparich,  Caffè letterari, Roma, Canesi, 1962



sabato 18 febbraio 2012

Dammi il supremo coraggio dell'Amore - Tagore (Calcutta, 6 maggio 1861 – Santiniketan, 7 agosto 1941)





Dammi il supremo coraggio dell'Amore,
questa è la mia preghiera,
coraggio di parlare,
di agire, di soffrire,
di lasciare tutte le cose,
o di essere lasciato solo.
Temperami con incarichi rischiosi,
onorami con il dolore,
e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.
Dammi la suprema certezza nell'amore,
e dell'amore,
questa è la mia preghiera,
la certezza che appartiene alla vita nella morte,
alla vittoria nella sconfitta,
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza,
a quella dignità nel dolore,
che accetta l'offesa,
ma disdegna di ripagarla con l'offesa.
Dammi la forza di amare
sempre
e ad ogni costo.


venerdì 17 febbraio 2012

Immagina che...






Immagina che esista una Banca che ogni mattina accredita la somma di  86.400 € sul tuo conto.
Non conserva il tuo saldo giornaliero.
Ogni notte cancella qualsiasi quantità del tuo saldo che non sia stata utilizzata durante il giorno.
Che faresti?
Ritireresti o spenderesti tutto fino all'ultimo centesimo ogni giorno,
ovviamente!!!!
Ebbene, ognuno di noi possiede un conto in questa Banca.
Il suo nome?
TEMPO
Ogni mattina questa Banca ti accredita 86.400 secondi.
Ogni notte questa Banca cancella e dà come perduta qualsiasi quantità di questo credito che tu non abbia investito in un buon proposito.
Questa Banca non conserva saldi ne permette trasferimenti.
Ogni giorno ti apre un nuovo conto.
Ogni notte elimina il saldo del giorno.
Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua.
Non si può fare marcia indietro.
Non esistono accrediti sul deposito di domani.
Devi vivere nel presente con il deposito di oggi.
Investi in questo modo per ottenere il meglio nella salute, felicità e
successo: l'orologio continua il suo cammino.
Ottieni il massimo da ogni giorno..
Per capire il valore di un anno, chiedi ad uno studente che ha perduto un anno di studio.
Per capire il valore di un mese, chiedi ad una madre che ha partorito prematuramente.
Per capire il valore di una settimana, chiedi all'editore di un settimanale.
Per capire il valore di un'ora, chiedi a due innamorati che attendono di incontrarsi.
Per capire il valore di un minuto, chiedi a qualcuno che ha appena perso il treno.
Per capire il valore di un secondo, chiedi a qualcuno che ha appena evitato un incidente.
Per capire il valore di un centesimo di secondo, chiedi ad un atleta che ha vinto la medaglia d'argento
 alle Olimpiadi.
Dai valore ad ogni momento che vivi, e dagli ancor più valore se lo potrai condividere con una persona speciale, quel tanto speciale da dedicarle il tuo tempo e ricorda che il tempo non aspetta nessuno.
Ieri? Storia.
Domani? Mistero.
E' per questo che esiste il presente!!!
Ricorda ancora, il tempo non ti aspetterà.

Buona Vita



giovedì 16 febbraio 2012





Freddo mattino
due note in lontananza
scaldano l'aria
©MG



mercoledì 15 febbraio 2012

La Sinagoga di Gorizia



Interno della Sinagoga

Costruita nel 1756, la Sinagoga fu utilizzata dalla comunità ebraica di Gorizia fino alla sua scomparsa nel 1969, quando, a causa del numero troppo esiguo di ebrei rimasti in città, venne accorpata a quella di Trieste. Nel 1978 la comunità di Trieste donò l'edificio in abbandono al Comune, perchè lo restaurasse e lo destinasse ad attività culturali riguardanti l'ebraismo, ciò che è avvenuto dalla riapertura, nel 1984.
Attualmente la Sinagoga non è adibita al culto. Il percorso museale, realizzato al pianterreno dell'edificio, è stato strutturato pensando ai più giovani ed al visitatore tipo, non necessariamente esperto conoscitore della storia e delle tradizioni ebraiche. Al primo piano si può visitare il tempio, che conserva la profonda suggestione di un luogo fuori dal tempo, dove poche modifiche sono intervenute dal Settecento, quando venne costruito. Il museo ebraico "Gerusalemme sull'Isonzo" presenta al visitatore la storia del popolo ebraico attraverso i secoli, soffermandosi in particolare sulla comunità ebraica goriziana. Il museo comprende isole informatiche e pannelli didattici a corredo dell'esposizione permanente. Una sezione nuova del museo è dedicata a Carlo Michelstaedter illustre rappresentante della comunità ebraica goriziana ed alle sue opere pittoriche. Queste, insieme ai manoscritti originali ed alle edizioni delle sue opere e dei saggi che lo riguardano, fanno parte del "Fondo Michelstaedter", costituito grazie alla donazione della sorella di Carlo, Paula.
Presso la Sinagoga si possono avere informazioni sulle numerose attività svolte dall'Associazione Amici di Israele.
La vitale comunità ebraica di Gorizia
La presenza di ebrei a Gorizia è attestata sin dal XVI secolo: le famiglie dei Morpurgo e dei Pincherle erano impegnate in attività di prestito. Nel 1698 fu istituito il ghetto. La residenza coatta non pregiudicò lo sviluppo demografico della comunità che dalle 256 persone nel 1764 passò alle 270 nel 1788, che divennero 314 nel 1850 La componente ebraica, in prevalenza ashkenazita, ovvero di provenienza tedesca, ha lasciato numerosi segni e donato alla città personaggi illustri: Carlo Michelstaedter (1887-1910), Graziadio Isaia Ascoli (1887-1910), ed altri ancora. Essa era essenzialmente legata alla componente italiana della città, molti ebrei furono ferventi patrioti italiani (ad es. Carolina Luzzatto, e lo stesso Ascoli)
Il ghetto ebraico fu istituito per decreto dell'imperatore Leopoldo I il 24/3/1696 e abolito nel 1812. Nella notte del 23 novembre 1943 tutti gli ebrei goriziani furono deportati ad Auschwitz...


Aron Ma Kudesh, Armadio Sacro, contenente la Torah (תורה), pergamena, fine XVII sec.


Porta del Ghetto, ora collocata all'ingresso del giardino dedicato a Bruno Farber


QUESTO GIARDINO
E' DEDICATO A
BRUNO FARBER
* FIGLIO DI EBREI GORIZIANI *
DEPORTATO E UCCISO AD AUSCHWITZ
ALL'ETA' DI 3 MESI
7 NOVEMBRE 1943 - 26 FEBBRAIO 1944


martedì 14 febbraio 2012

Un emisfero in una chioma - Cherles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867)





§


Lasciami respirare a lungo, a lungo, l’odore dei tuoi capelli. affondarvi tutta la faccia, come un assetato nell'acqua di una sorgente, e agitarli con la mano come un fazzoletto odoroso, per scuotere dei ricordi nell'aria.
Se tu sapessi tutto quello che vedo! tutto quello che sento! tutto quello che intendo nei tuoi capelli! La mia anima viaggia sul profumo come l'anima degli altri viaggia sulla musica.
I tuoi capelli contengono tutto un sogno, pieno di vele e di alberature: contengono grandi mari, i cui monsoni mi portano verso climi incantevoli, dove lo spazio è più bello e più profondo, dove l’atmosfera è profumata dai frutti. dalle foglie e dalla pelle umana.
Nell'oceano della tua capigliatura, intravedo un porto brulicante di canti malinconici, di uomini vigorosi di ogni nazione e di navi di ogni forma, che intagliano le loro architetture fini e complicate su ün cielo immenso dove si abbandona il calore eterno.
Nelle carezze della tua capigliatura, io ritrovo i languori delle lunghe ore passate su un divano, nella camera di una bella nave, cullate dal rullio impercettibile del porto, tra i vasi da fiori e gli orcioli che rinfrescano.
Nell’ardente focolare della tua capigliatura, respiro l’odore del tabacco, confuso a quello dell’oppio e dello zucchero: nella notte della tua capigliatura, vedo risplendere l’infinito dell'azzurro tropicale; sulle rive lanuginose della tua capigliatura, mi inebrio degli odori combinati del catrame, del muschio e dell’olio di cocco.
Lasciami mordere a lungo le tue trecce pesanti e nere. Quando mordicchio i tuoi capelli elastici e ribelli, mi sembra di mangiare dei ricordi.




Buon San Valentino a chi ancora ci crede...


domenica 12 febbraio 2012

Il medico dei balocchi - Racconto di Adriana de Ranieri





Tornare dopo molti anni nella casa dei suoi genitori lo emozionava, sapeva che l'avrebbe trovata vuota e questo lo rendeva triste, ma al tempo stesso desideroso di incontrare di nuovo tra quelle mura i suoi ricordi passati. Aprì la porta e subito si ritrovò circondato da tanti cari oggetti che lo riportarono alla sua infanzia; fu salutato dal vecchio orologio a cucù dell'ingresso legato all'immagine del padre e alle sue litigate perchè non riusciva mai a farlo essere puntuale, lui che aveva insegnato al figlio a misurare il tempo per non perderlo mai; anche la poltrona della nonna in salotto sembrò volergli narrare ancora vecchie fiabe antiche che sapevano di magia, mentre in cucina ritrovò i profumi che sapevano di mamma. Nella cameretta ritornò il bambino che era stato, e aprendo il baule dei giochi si ritrovò tra le mani il vecchio trenino con i suoi vagoncini colorati che lo aveva fatto viaggiare in paesi lontani, le automobiline ammaccate lo trasportarono in gare senza vincitore, il vecchio cagnolino con un occhio solo compagno prezioso di notti fatte di paure legate al buio, con lui che lo stringeva forte forte per combattere l'uomo nero che si nascondeva negli angoli. Ma i suoi occhi si velarono di lacrime quando si trovò tra le mani un vecchio burattino: questo lo riportò in una cameretta di ospedale dove era stato ricoverato per scoprire le cause dei suoi malesseri (frequenti episodi febbrili, sete continua, aumentata quantità di urine), e rivisse anche l'umiliazione di trovare il suo lettino bagnato e la mamma che lo confortava con parole che sapevano d'amore; poi la perdita di peso le continue infezioni e così... la decisione di ricovero. Fu in ospedale che sentì per la prima volta la parola " DIABETE ", il medico spiegò ai genitori che si trattava di una malattia cronica che causa elevati livelli di glucosio nel sangue, dovuta ad un'alterata quantità dell'insulina, un ormone prodotto dal pancreas che consente al glucosio l'ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica: quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno. Il suo primo pensiero fu quello di essere diverso dagli altri bambini e di non poter più far parte del mondo dell'infanzia fatto di spensieratezza e di sogni legati al filo di un aquilone. A niente valsero le parole della mamma e del papà che cercavano di confortarlo; poi una mattina vide far capolino dalla porta della sua stanza di ospedale uno strano medico con i mano un burattino, ma a lui proprio non andava di giocare, aveva ben altri pensieri, ormai era diventato improvvisamente grande e il suo unico compagno di giochi era questa malattia che lo costringeva a controllare giorno dopo giorno la sua vita; ma lo strano dottore non si perse d'animo e si presentò come " IL MEDICO DEI BALOCCHI ". " Io curo i giocattoli, e questo che vedi nelle mie mani è il mio aiutante prezioso, sono qui per aiutarti a capire la tua malattia, questo burattino soffre di diabete come e te e grazie alle mie cure come puoi vedere adesso balla, canta, e si muove come prima, anzi ti dirò che è diventato anche più famoso di Pinocchio ". Lui lo guarda e credeva pensasse che fosse uno sciocco al quale si potessero raccontare frottole e farle passare per vere; non gli rispose, ma lo strano medico non si arrese e iniziò il suo racconto. Attorcigliò tutti i fili del burattino e lo lasciò sul lettino, poi piano piano con parole semplici accompagnò i suoi gesti mentre sbrogliava filo dopo filo: " tu ti senti come lui, triste perchè anche lui non si può muovere liberamente come accadeva a te che ti sentivi sempre stanco, ma adesso io lo aiuto sbrogliando con pazienza i fili che lo tengono prigioniero; così tu devi fare con te stesso controllando e aiutando il tuo pancreas con la somministrazione dell'insulina tramite piccole iniezioni di vita; aggiungerai una dieta corretta, un'attività fisica e farai test di autocontrollo della glicemia, così potrai stare meglio proprio come lui " e uscì dalla stanza. Ricordò che piano piano si avvicinò al suo nuovo amico e cominciò a muovere i suoi fili, e quando la mamma entrò ritrovò il suo sorriso. Quando fu dimesso andò a cercare il " MEDICO DEI BALOCCHI ", voleva restituirgli il suo burattino; lo trovò con un aeroplanino in mano, mentre spiegava ad un piccolo paziente asmatico che quel mezzo faceva capricci e non voleva volare perchè aveva paura dell'aria così ricca di pulviscoli che gli facevano perdere quota. Lui sorrise, e ancora oggi a distanza di anni crede che la semplicità delle parole sia il patrimonio dei grandi; il medico non volle indietro il suo burattino, gli strinse la mano incoraggiandolo ad essere un bambino forte, a confidarsi con il nuovo amico e contare sempre su di lui tutte le volte che fosse andato in reparto. Fu l'unica cosa che portò via dalla vecchia casa, lo mise nella tasca sinistra della giacca ad un passo dal cuore, richiuse la porta mentre si allontanava stringendo la sua infanzia nel ricordo di " UN MEDICO DEI BALOCCHI " che faceva muovere i giocattoli con i fili invisibili che legavano i ricordi agli affetti più cari. Grazie a tutti i " MEDICI DEI BALOCCHI " che riescono con le loro parole a strappare sorrisi a tutti i bambini ricoverati negli ospedali, aiutandoli ad affrontare la vita nonostante malattie croniche dalle quali non guariranno ma con le quali convivranno e diventeranno grandi, legando la loro infanzia al ricordo di persone speciali; sarà sempre bello per loro ritrovare il coraggio e la forza nell'affrontare le preoccupazioni che una malattia comporta anche grazie ad un vecchio burattino dai fili attorcigliati.




Grazie di cuore a tutti coloro che, in qualsiasi modo, alleviano il dolore dei piccoli malati...




sabato 11 febbraio 2012

Parigi / Basquiat prova a battere Monet...



Jean Michel Basquiat  15 octobre 2010 - 30 janvier 2011
au Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.


Quasi si trattasse di una competizione sportiva, a Parigi  i numeri parlano chiaro! Il successo della mostra di Basquiat, il pittore afro-americano prematuramente scomparso nel 1988, il pupillo di Andy Warhol, ha sorpreso stavolta gli stessi organizzatori quanto ad affluenza di pubblico. Il confronto con quella di Claude Monet al Grand Palais nasce spontaneo. All'ingresso di Avenue du Président Wilson code interminabili di persone, giovani ma anche meno giovani, si snodano per alcune centinaia e centinaia di metri. E l'obiettivo finale è lo stesso: ammirare le contraddizioni della società  postmoderna efficacemente tradotte in segno sulle tele di Basquiat.
Quando si tratta di tela e non di altro materiale di recupero altrettanto valido a contenere e ad esprimere l'enigma dell' essere e dell'esserci per Basquiat.
Fino ad oggi i visitatori della mostra sono stati più di duecento mila ma fino al 30 gennaio, data di chiusura, il numero è destinato sicuramente a salire e di molto.
Pertanto, chi non lo avesse fatto, e ne avesse invece l'opportunità, non perda l'occasione. Non fosse altro che per constatare de visu quella che solo apparentemente è una sfida tra "vecchio" e "nuovo".
Perché nell'ARTE  parentele e affinità ci sono, sempre e comunque, a livello sia spaziale che temporale.
Come sostiene  Aby  Warburg  il tempo, infatti, non si srotola come il filo di una matassa e classicismo e modernità sono perfettamente in grado di dialogare.
Centralità è l'uomo.
A cura di Marianna Micheluzzi



Jean-Michel Basquiat
(Brooklyn, 22 dicembre 1960 – New York, 12 agosto 1988)


La mostra di cui sopra si è svolta l'anno scorso e questo post faceva parte del mio vecchio blog. Mi piace riproporlo.



venerdì 10 febbraio 2012

Per non dimenticare....






“Sette storie istriane”
Un reportage di Nevio Casadio

Tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta gran parte degli italiani residenti in Fiume, Istria e Dalmazia, abbandonò la casa, il lavoro e gli affetti. Secondo le stime più attendibili, un numero oscillante tra 300.000 e 350.000 unità.

Donne, uomini, vecchi e bambini costretti all'esilio, spinti dalla perdita delle proprie terre, cedute alla Iugoslavia di Tito che aveva appena vinto la guerra di liberazione contro il nazi-fascismo.

Un esodo drammatico, indotto in prima persona dal medesimo Tito che, a partire dal 1945, aveva inviato in Istria diversi agenti allo scopo di indurre gli italiani ad andar via, adottando la stessa arma di chi aveva sconfitto: l'arma del terrore.

Prima e durante questo esodo, altre migliaia di Italiani furono uccisi: i loro corpi scaraventati nelle foibe o annegati nel mare davanti a Zara. Un intreccio di vendette, giustizialismi sommari e rivalse sociali. Un'autentica pulizia etnica per sradicare la presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia.

Il reportage di Nevio Casadio si snoda tra i luoghi dell'esodo. Tra chi restò in Istria, dov'era nato italiano e tra chi partì, per restare italiano. Il viaggio inizia a Fertilia, in Sardegna, dove approdarono in tanti:  figli della diaspora.

Il borgo di Fertilia, nei pressi di Alghero, era nato nel 1936 con la costruzione della chiesa parrocchiale ad opera dell'Ente Ferrarese di Colonizzazione, istituito da Mussolini per dare occupazione alla popolazione della provincia di Ferrara, in condizioni di estrema precarietà.

Nel dopoguerra saranno gli esuli di Istria e Dalmazia a popolare la borgata. Un insediamento divenuto, in breve tempo, un microcosmo di accenti istroveneti accanto alla comunità catalana di Alghero.

Oggi, come allora, le strade e le piazze di Fertilia richiamano i luoghi e gli avvenimenti storici del Veneto e della Venezia Giulia. Accanto alla chiesa dedicata a San Marco, svetta un campanile dalla cuspide simile a quello di piazza San Marco a Venezia. Un obelisco con il leone alato ricorda l'approdo, in terra sarda, degli esuli.

Da Fertilia, il viaggio prosegue nel Quartiere Giuliano Dalmata, in Roma. Nacque come Villaggio Operaio E42, per alloggiare gli operai impegnati nell'allestimento dell'Esposizione Universale di Roma. Con lo scoppio della guerra, gli operai abbandonarono le loro case che, dopo una breve occupazione anglo americana, rimasero disabitate. Nel 1947, dodici famiglie di profughi giuliani  si insediarono nel villaggio, ribattezzandolo Villaggio Giuliano.

Oggi, gli esuli e i figli degli esuli, hanno mantenuto le tradizioni della terra dei padri. Con la nostalgia radicata di una terra, ampliata dal ricordo di storie ascoltate e narrate nella lingua dell'infanzia, in ogni occasione.  Nei giorni di festa o di lutto.

Le telecamere oltrepassano poi la frontiera, in una terra, la Venezia Giulia, che non aveva confini. A Capodistria, in Slovenia, la televisione Tele Koper si rivolge al pubblico di lingua italiana, a difesa delle radici. Le nuove generazioni, con in tasca il passato, rivolgono lo sguardo al futuro e all'Europa, cercando di abbattere le frontiere tra gli uni e gli altri.

A Fiume, oggi nella Repubblica Democratica di Croazia, sono le donne a raccontare la loro vita di figlie di italiani fiumani, che avevano deciso di restare e vivere nella propria città, passata sotto il regine jugoslavo di Tito.

I figli e nipoti degli esuli incontrati a Fertilia, o a Roma nel Quartiere Giuliano Dalmata, sono orgogliosi della decisione presa un tempo dalla famiglia di origine, di avere intrapreso la strada dell'esodo all'insegna della libertà e dell'amor di patria. Anche le donne incontrate a Fiume, sono orgogliose della scelta dei padri che diversamente avevano deciso di restare. “Sono orgogliosa della scelta dei miei e mi sento fiumana, italiana ed europea” l'affermazione raccolta, per lo più, tra le donne della Comunità italiana di Fiume in Croazia.

Si giunge a Dignano, fino al 1945 Dignano d'Istria, oggi Vodnian: un comune della Croazia, a 10 km a nord di Pola. La popolazione italiana, con l'arrivo dei titini, per la maggior parte scelse l’esulo. Oggi, di quegli italiani, è rimasto qualcuno. In una casa che ancora conserva nella facciata le scritte con la stella rossa titina, abita uno dei pochi “restati”. Luciano Biasol, in omaggio al padre antifascista che aveva abbracciato la dittatura di Tito, ha continuato a vivere qui facendo l'agricoltore e abitando nella casa di un esule che mai più è ritornato. Oggi, l'anziano Biasol, si confronta in dialetto istriota con la nipotina che studia a Zagabria, innamorata di un ragazzo croato e dell'Italia, che visita quando può,  per incontrare i parenti italiani esulati a Torino.

A Zucconi, divenuta Cokuni, un borgo istriano di tre case sparse, tra Marzana e Dignano, sempre dalle parti di Pola, abita e vive da sempre Maria Zuccon, oggi un'anziana signora. Nella stessa casa, nacque la madre di Sergio Marchionne e in quella casa lo stesso piccolo Sergio ha trascorso parte della sua infanzia.

Il viaggio tra gli esuli italiani in Italia  e i restati nell'Istria, in Dalmazia e a Fiume, ieri terre italiane, oggi slovene e croate, approda a Basovizza. Il paese, accanto a Trieste, conserva una delle diverse foibe in cui furono sterminati, scaraventati vivi nelle cavità carsiche, migliaia di italiani, colpevoli di essere italiani. Non dimenticherà mai più uno dei testimoni allora bambino: “Sì, sì lo ricordo. 1946, avevo 8 anni. Una manifestazione in piazza, sulle finestre della prefettura, due miei cugini legati con il ferro spinato, processati davanti a tutti, davanti al popolo di Dignano, perché italiani, infoibati la sera stessa. Quei due miei cugini, infoibati perché italiani e sono stati infoibati davanti alla loro madre. Io in prima fila… Mi ricordo che venne mia madre, per non farmi assistere a certe cose… a certi insulti anche, gli sputavano in faccia, mi prese e mi diede un calcio sul sedere: -vai a casa, che non sono cose che tu possa  vedere-”.

Il viaggio tra chi “esulò” e chi “restò”, i loro figli e nipoti, termina a Trieste. Terra di confine, da sempre crogiolo di etnie e religioni diverse all'insegna, è oggi un crocevia di pace. Nel 2010, in piazza Unità d'Italia, il Maestro Riccardo Muti diresse il concerto dell'Amicizia, alla presenza dei capi  di Stato, d'Italia, Slovenia e Croazia. Nella piazza, la folla ascoltò gli Inni dei tre Paesi, riuniti nei segni di riconciliazione e di pace.

Il Presidente Giorgio Napolitano in occasione di una Giornata del Ricordo, affermò:
“Va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo, e del dolore e della fatica che costò a fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera e indipendente ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale. E va ricordata la “congiura del silenzio” [...]. "la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell'oblio”.

Nevio Casadio, giornalista, autore televisivo. Tra i diversi quotidiani e settimanali ha scritto per La Repubblica, Oggi e Il Mattino. In Rai ha lavorato negli spazi di approfondimento, da Speciale Tguno a La storia siamo noi; da tv7 a C’era una volta; da Frontiere a Piazzale degli Eroi, firmando numerosi reportage ed inchieste, in Italia e nel mondo, dai Balcani all’India. Tra i riconoscimenti, ha vinto il Premio Guidarello per il giornalismo d’autore e tre volte il Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi. Nel 2007, Enzo Biagi al suo rientro in Rai, lo ha chiamato a far parte della nuova trasmissione RT/Rotocalco Televisivo di Rai Tre, in qualità di coautore  e di inviato speciale del programma per il quale ha poi firmato numerosi reportage, prevalentemente dedicati alle vittime del lavoro e a tematiche sociali.


mercoledì 8 febbraio 2012

Haiku





HAIKU è una importante forma di arte poetica, sviluppatasi fra la nobile classe giapponese nel XVI secolo. Tradotto letteralmente significa "motto di spirito". Il metro di valutazione ed il contenuto di un haiku sono "fendere come una lama tagliente".

  L'haiku fu creato in Giappone nel XVII secolo (ma deriva dal tanka che risale già al IV secolo).  E' un componimento poetico rigorosamente composto da tre versi rispettivamente di 5 - 7 - 5 sillabe contenente il Kigo ( un riferimento stagionale che definisce il momento dell'anno in cui viene composto o al quale è dedicato ) o il Piccolo Kigo ( un riferimento ad una parte del giorno ). L'haiku è una poesia dai toni semplici, senza alcun titolo, che elimina fronzoli lessicali e congiunzioni, traendo la sua forza dalle suggestioni della natura e delle stagioni: per via dell'estrema brevità la composizione richiede una grande sintesi di pensiero e d'immagine.  Soggetto dell'haiku sono scene rapide ed intense che rappresentano appunto, in genere, la natura e le emozioni che esse lasciano nell'animo dell'haijin (il poeta).  La mancanza di nessi evidenti tra i versi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestioni, quasi come una traccia che sta al lettore completare.  Se non contiene il Kigo né il Piccolo Kigo  il componimento prende il nome di Senryu. (G.R.)





Alberi spogli
su brune zolle oziano
Tramonto infuoca
©MG


martedì 7 febbraio 2012

La Rabbia - Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975)





§


Cos'è successo nel mondo, dopo la guerra e il dopoguerra? La normalità.
Già, la normalità. Nello stato di normalità non ci si guarda intorno: tutto, intorno si presenta come "normale", privo della eccitazione e dell'emozione degli anni di emergenza. L'uomo tende ad addormentarsi nella propria normalità, si dimentica di riflettersi, perde l'abitudine di giudicarsi, non sa più chiedersi chi è.
È allora che va creato, artificialmente, lo stato di emergenza: a crearlo ci pensano i poeti. I poeti, questi eterni indignati, questi campioni della rabbia intellettuale, della furia filosofica. Ci sono stati degli avvenimenti che hanno segnato la fine del dopoguerra: mettiamo, per l'Italia, la morte di De Gasperi.
La rabbia comincia lì, con quei grossi, grigi funerali.
Lo statista antifascista e ricostruttore è "scomparso": l'Italia si adegua nel lutto della scomparsa, e si prepara, appunto, a ritrovare la normalità dei tempi di pace, di vera, immemore pace.
Qualcuno, il poeta, invece, si rifiuta a questo adattamento.
Egli osserva con distacco - il distacco dello scontento, della rabbia - gli estremi atti del dopoguerra: il ritorno degli ultimi prigionieri, ricordate, in squallidi treni, il ritorno delle ceneri dei morti...
E... il ministro Pella, che, tronfiamente, suggella la volontà dell'Italia a partecipare all'Europa Unita.
È così che ricomincia nella pace, il meccanismo dei rapporti internazionali. I gabinetti si susseguono ai gabinetti, gli aereoporti sono un continuo andare e venire di ministri, di ambasciatori, di plenipotenziari, che scendono dalla scaletta dell'aereo, sorridono, dicono parole vuote, stupide, vane, bugiarde.
Il nostro mondo, in pace, rigurgita di un bieco odio, l'anticomunismo. E sul fondo plumbeo e deprimente della guerra fredda e della Germania divisa, si profilano le nuove figure dei protagonisti della storia nuova.
Krusciov, Kennedy, Nehru, Tito, Nasser, De Gaulle, Castro, Ben Bella.
Finché si arriva a Ginevra, all'incontro dei quattro grandi: e la pace, ancora turbata, va verso un definitivo assestamento. E la rabbia del poeta, verso questa normalizzazione che è consacrazione della potenza e conformismo, non può che crescere ancora.
Cos'è che rende scontento il poeta?
Un'infinità di problemi che esistono e nessuno è capace di risolvere: e senza la cui risoluzione la pace, la pace vera, la pace del poeta, è irrealizzabile.
Per esempio: il colonialismo. Questa anacronistica violenza di una nazione su un'altra nazione, col suo strascico di martiri, di morti.
O: la fame, per milioni e milioni di sottoproletari.
O: il razzismo. Il razzismo come cancro morale dell'uomo moderno, e che, appunto come il cancro, ha infinite forme. È l'odio che nasce dal conformismo, dal culto della istruzione, dalla prepotenza della maggioranza. È l'odio per tutto ciò che è diverso, per tutto ciò che non rientra nella norma, e che quindi turba l'ordine borghese. Guai a chi è diverso! questo il grido, la formula, lo slogan del mondo moderno. Quindi odio contro i negri, i gialli, gli uomini di colore: odio contro gli ebrei, odio contro i figli ribelli, odio contro i poeti.
Linciaggi a Little Rock, linciaggi a Londra, linciaggi in Nord Africa; insulti fascisti agli ebrei.

È così che riscoppia la crisi, l'eterna crisi latente.
I fatti d'Ungheria, Suez.
E l'Algeria che comincia piano piano a riempirsi di morti.
Il mondo sembra, per qualche settimana, quello di qualche anno avanti. Cannoni che sparano, macerie, cadaveri per le strade, file di profughi stracciati, i paesaggi incrostati di neve. Morti sventrati sotto il solleone del deserto.
La crisi si risolve, ancora una volta, nel mondo: i nuovi morti sono pianti e onorati, e ricomincia, sempre più integrale e profonda, l'illusione della pace e della normalità'. Ma, insieme alla vecchia Europa che si riassesta nei suoi solenni cardini, nasce l'Europa moderna: il neocapitalismo; il Mec, gli Stati Uniti d'Europa, gli industriali illuminati e "fraterni", i problemi delle relazioni umane, del tempo libero, dell'alienazione.
La cultura occupa terreni nuovi: una nuova ventata di energia creatrice nelle lettere, nel cinema, nella pittura. Un enorme servizio ai grandi detentori del capitale. Il poeta servile si annulla, vanificando i problemi e riducendo tutto a forma.
Il mondo potente del capitale ha, come spavalda bandiera, un quadro astratto.
Così, mentre da una parte la cultura ad alto livello si fa più raffinata e per pochi, questi "pochi" divengono, fittiziamente, tanti: diventano "massa". È il trionfo del "digest" e del "rotocalco" e, soprattutto della televisione. Il mondo travisato da questi mezzi di diffusione, di cultura, di propaganda, si fa sempre più irreale: la produzione in serie, anche delle idee, lo rende mostruoso.
Il mondo del rotocalco, del lancio su base mondiale anche dei prodotti umani, è un mondo che uccide.
Povera, dolce Marylin, sorellina ubbidiente, carica della tua bellezza come di una fatalità che rallegra e uccide.
Forse tu hai preso la strada giusta, ce l'hai insegnata. Il tuo bianco, il tuo oro, il tuo sorriso impudico per gentilezza, passivo per timidezza, per rispetto ai grandi che ti volevano così, te, rimasta bambina, sono qualcosa che ci invita a placare la rabbia del pianto, a voltare le spalle a questa realtà dannata, alla fatalità del male.
Perché: finché l'uomo sfrutterà l'uomo, finché l'umanità sarà divisa in padroni e in servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.
E ancora oggi, negli anni sessanta le cose non sono mutate: la situazione degli uomini e della loro società è la stessa che ha prodotto le grandi tragedie di ieri.
Vedete questi? Uomini severi, in doppiopetto, eleganti, che salgono e scendono dagli aeroplani, che corrono in potenti automobili, che siedono a scrivanie grandissime come troni, che si riuniscono in emicicli solenni, in sedi splendide e severe: questi uomini dai volti di cani o di santi, di jene o di aquile, questi sono i padroni.
E vedete questi? Uomini umili, vestiti di stracci o di abiti fatti in serie, miseri, che vanno e vengono per strade rigurgitanti e squallide, che passono ore e ore a un lavoro senza speranza, che si riuniscono umilmente in stadi o in osterie, in casupole miserabili o in tragici grattacieli: questi uomini dai volti uguali a quelli dei morti, senza connotati e senza luce se non quella della vita, questi sono i servi.
È da questa divisione che nasce la tragedia e la morte.
La bomba atomica col suo funebre cappuccio che si allarga in cieli apocalittici è il futuro di questa divisione.
Sembra non esservi soluzione da questa impasse, in cui si agita il mondo della pace e del benessere. Forse solo una svolta imprevista, inimmaginabile... una soluzione che nessun profeta può intuire... una di quelle sorprese che ha la vita quando vuole continuare... forse... Forse il sorriso degli astronauti: quello forse, è il sorriso della vera speranza, della vera pace. Interrotte, o chiuse, o sanguinanti le vie della terra, ecco che si apre, timidamente, la via del cosmo.
Pier Paolo Pasolini

Cambiano gli scenari, gli anni, i politici.... ma nulla cambia, in realtà! MG


lunedì 6 febbraio 2012

Procedimenti per violenza sessuale di gruppo...





Dolce creatura il mio canto di dolore

sale al cielo per te

raggiunge la stanza degli angeli puri

intono il canto delle donne violate

le mie note di sangue e carne

per le orecchie della purezza.

Dolce donna il tuo corpo

grida alla mia porta

graffia con i lamenti il mio cuore

raccolgo per te i fiori degli spiriti

corone per il tuo capo piegato

dai demoni del male.

(di Maria Leone)



Nei procedimenti  per violenza sessuale di gruppo, il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma può applicare misure cautelari alternative. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, dando un' interpretazione estensiva ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2010.

In base a tale valutazione, la Cassazione ha pertanto annullato una ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, che aveva confermato il carcere - ritenendo che fosse l'unica misura cautelare applicabile - per due giovani (difesi dagli avvocati Lucio Marziale, Nicola Ottaviani ed Eduardo Rotondi) accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza del frusinate ed ha rinviato il fascicolo allo stesso giudice perche' faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale. A partire dal 2009, con l'approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale - nata sulla base di un diffuso allarme sociale legato alla recrudescenza di episodi di aggressioni alle donne - non era consentito al giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza. Investita della vicenda, la Corte Costituzionale, nell'estate del 2010, ha ritenuto la norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (liberta' personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto si' alle alternative al carcere "nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure".

Ora la terza sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.4377/12) ha stabilito che i principi interpretativi che la Corte Costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale e atti sessuali su minorenni sono 'in toto' applicabili anche alla 'violenza sessuale di gruppo' (art. 609 octies codice penale), dal momento che quest'ultimo reato "presenta caratteristiche essenziali non difformi" da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio. "Unica interpretazione compatibile" con i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale - ha concluso la Cassazione - "e' quella che estende la possibilita' per il giudice di applicare misure diverse dalla custodia carceraria anche agli indagati sottoposti a misura cautelare" per il reato di violenza sessuale di gruppo., il giudice non e' piu' obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma puo' applicare misure cautelari alternative. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, dando un' interprestazione estensiva ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2010.

In base a tale valutazione, la Cassazione ha pertanto annullato una ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, che aveva confermato il carcere - ritenendo che fosse l'unica misura cautelare applicabile - per due giovani (difesi dagli avvocati Lucio Marziale, Nicola Ottaviani ed Eduardo Rotondi) accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza del frusinate ed ha rinviato il fascicolo allo stesso giudice perche' faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale. A partire dal 2009, con l'approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale - nata sulla base di un diffuso allarme sociale legato alla recrudescenza di episodi di aggressioni alle donne - non era consentito al giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza. Investita della vicenda, la Corte Costituzionale, nell'estate del 2010, ha ritenuto la norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (liberta' personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto si' alle alternative al carcere "nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure".

Ora la terza sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.4377/12) ha stabilito che i principi interpretativi che la Corte Costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale e atti sessuali su minorenni sono 'in toto' applicabili anche alla 'violenza sessuale di gruppo' (art. 609 octies codice penale), dal momento che quest'ultimo reato "presenta caratteristiche essenziali non difformi" da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio. "Unica interpretazione compatibile" con i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale - ha concluso la Cassazione - "e' quella che estende la possibilita' per il giudice di applicare misure diverse dalla custodia carceraria anche agli indagati sottoposti a misura cautelare" per il reato di violenza sessuale di gruppo.

                                                 

SONO TRISTE E SCHIFATA DI VIVERE IN UN PAESE CHE NON RICONOSCO PIÙ', CHE NON LO SENTO PIÙ MIO, CHE MI HA RUBATO UN PADRE PER DIFENDERLO E CHE ORA MORIREBBE DI VERGOGNA PER DOVE SIAMO FINITI...



domenica 5 febbraio 2012

Fantasie di farfalla - Munir Mezyed, poeta palestinese candidato al Premio Nobel per la Letteratura





Lei bussa alla porta del sogno
E appaga la sua sete di poesia
Lasciandomi assetato

Nel cuore infiammato del poema
In fondo all'orizzonte della fantasia
C'è una farfalla innamorata
Che desidera bruciare

Dal selvaggio fiore sgorgano fiumi di nettare
Quando è sfiorato dalle sue due ali

La poesia sgorga come puro miele
Dal fiore della fantasia
Quando la folle farfalla
L'accarezza ...!

Nel fiore bagnato dalla pioggia
Due ali di sorseggiano il suo nettare
Non so immaginare chi sia più ubriaco
Fra il bocciolo e le ali,,,,!

Vi è acqua fresca
Che sgorga dal fiore dell'immaginazione
La contemplano soltanto le ombre assetate d’amore ....

Ascoltate per un po il sussurro della serenità
Nel segreto del fiore della fantasia
C'è un angelo che canta per la mia adorata

Tu non ti tormentare
Lascia succhiare il nettare dei tuoi dolori dalla farfalla d’amore
sul fiore della tua chimera..

O la mia affascinante farfalla
Fuggiamo insieme ai giardini del sogno
Il fiore della lusinga, l’ode, ci aspetta ....!

(Traduzione Graziella Ardia)


sabato 4 febbraio 2012

Argentea - Gabriele D'Annunzio (1863 – 1938)



Venere Callipigia (Museo archeologico nazionale di Napoli)


Quando prona, co'l ventre ne l'arena,
nuda si lascia a'l conquistare lento
de le maree, non dunque a luna piena
ella è una grande statua di argento?

Venere Callipige in una oscena
posa. Scolpiti ne'l tondeggiamento
de' lombi stan due solchi; ampia la schiena
piegasi ad un profondo incavamento.

Cresce il flutto e la bagna. Ella si scuote
io a'l senso di quel gelido contatto
e di piacer le vibrano le terga.

Il flutto su la faccia la percuote;
ma rimane godendo ella in quell'atto
fin che l'alta marea non la sommerga.


venerdì 3 febbraio 2012

Eugène Delacroix (Saint-Maurice, 26 aprile 1798 – Parigi, 13 agosto 1863)


'Donne di Algeri' 1834, Louvre di Parigi

In questo quadro, che appartiene al periodo successivo al viaggio in Marocco, il pittore Eugéne Delacroix,, raffigura l' interno di una casa di Algeri. L' atmosfera è densa di sensualità: le donne, che indossano abiti morbidi e preziosi, sono sedute su dei cuscini in pose languide, il pavimento è coperto di tappeti che attutiscono ogni rumore; su una delle pareti, rivestite di raffinate maioliche a disegni, è appeso uno specchio dalla cornice dorata, sull' altra è drappeggiata un tenda. La penombra è appena attenuata da un raggio di luce che filtra dall' esterno. L' atmosfera esotica è sottolineata dalla figura della donna di colore, probabilmente una serva, in piedi sulla destra. Il quadro è un' immagine dell' Oriente come lo sognavano gli occidentali. ricco, pigro, sensuale un po' corrotto.
Non è un caso che il grande contemporaneo Baudelaire coglierà il messaggio di una nuova forma di “bellezza artistica” che nulla ha più a che fare con il canone classico.
A lezione dalla prof Iris Iside

Quello che da Baudelaire venne definito 'un piccolo poema d'interni' è uno dei capolavori più belli di tutti i tempi ed ha rappresentato un modello per molti artisti moderni. Picasso stesso ne ha eseguito quindici variazioni. Ora è conservato al Louvre.
La libertà espressiva, l'uso di colori brillanti, la predilezione per temi letterari ed esotici fanno dell'opera di Delaacroix un vero manifesto della pittura romantica. Le ricerche sul colore e la tecnica esecutiva preludono agli esiti della pittura impressionista.



mercoledì 1 febbraio 2012

Johannes Vermeer (Delft, 1632 – 1675)


Johannes Vermeer, Donna in azzurro che legge una lettera, 1663 ca.

L'artista rappresenta una donna intenta a leggere una lettera davanti ad una finestra, di cui si intuisce la luminosa presenza .L'arrivo della posta ha forse interrotto le sue occupazioni quotidiane, costringendola ad abbandonare sul tavolo la collana di perle che stava per indossare.
probabilmente la donna è incinta ( come suggerirebbe la foggia dell'abito ) e che la sedia vuota e la carta geografica in fondo alla stanza alludano alla lontananza di una persona cara.

L'artista utilizzò tutti i mezzi espressivi per conferire alla scena un senso di quieta immobilità. Studiò la collocazione e le proporzioni degli oggetti, semplificando la composizione e costruendola con un rigore matematico; la donna è racchiusa entro un piccolo spazio, dominato dalla sua figura statuaria. Le semplici armonie cromatiche, giocate sui toni dell'azzurro, del giallo...dell'ocra accrescono l'atmosfera pacata del dipinto. La sfumatura bluastra delle ombre sulla parete crea una luce pallida e tenera, consona all'atteggiamento meditativo della protagonista.
nessun tono squillante, pur nella chiarità tutte le superfici hanno una morbidezza intrinseca che rende quasi sensibile il silenzio assorto della lettura, e ci fa partecipi della intimità del momento.
A lezione dalla prof Iris Iride

I ritratti di Vermeer immortalano scene di vita quotidiana, ambientati in eleganti interni borghesi fiamminghi e ciò che colpisce in ogni tela, è la luce. La luce ha sempre una provenienza precisa: in genere una finestra collocata sul lato sinistro fa entrare la luce che anima la scena. È proprio la luce uno degli ingredienti più preziosi dei quadri di Vermeer. Questo dipinto è conservato al Rijksmuseum di Amsterdam e fu il primo quadro di Vermeer ad entrare nella collezione del museo.