mercoledì 11 aprile 2012

Cantico dei cantici di Marc Chagall





Oggi vi voglio parlare di un'opera che parla d'amore, una illustrazione del Cantico dei cantici di Chagall.
Ci troviamo di fronte un dialogo gioioso tra le varie dimensioni della realtà: un mondo animato di presenze molteplici. Tutto sembra dipartirsi dalla coppia in basso, la diagonale centrale unisce due emisferi della realtà, che non sono in reciproca opposizione ma che si richiamano e si riprendono a vicenda. Come è detto nel Cantico dei cantici, la testa della sposa è sul petto dello sposo, e la destra di lui l’abbraccia; verso l’alto, c’è un’altra coppia nello stesso atteggiamento – un re coronato, certamente Davide, assieme a Betsabea, la donna per la quale arse di passione fino a violare ogni legge umana e divina. C'è un libro aperto (il Cantico), il trono di Gerusalemme (simboli dell'alleanza), la colomba che richiama il ritiro delle acque e la rinascita della vita. La mano richiama il gesto della creazione e la luna le maree, il ciclo femminile, il tempo.
Ancora corrispondenze ai due lati della diagonale: la città e l'universo (la città come luogo di ricerca del desiderio, l'universo che diviene lo specchio armonioso dell'altra).
A lezione dalla prof Iris Iride


Chagall incomincia a lavorare attorno alla serie dei dipinti sul Messaggio Biblico nel 1955, è un periodo fecondo per lui, di rinascita. Nel 1944 infatti, 11 anni prima, durante il suo soggiorno americano la amatissima moglie Bella, muore improvvisamente a causa di una misteriosa infezione virale. Per nove mesi Chagall si rifiuterà di dipingere e anche in seguito, allorché riprese, i colori delle sue tele si erano spenti. ("Tutto diventa nero ai miei occhi" Chagall, 2 settembre 1944) Una relazione con la sua segretaria, Virginia – dalla quale avrà un figlio, David -, risollevò un poco l'animo di Chagall, ma non fu sufficiente, sette anni più tardi Virginia lascerà Marc portando con sé il figlio.
Ida, figlia di Chagall e Bella, le presentò l'anno dopo, nel 1952, una donna di 25 anni più giovane di lui, Valentina Brodski, di origini ebreo-russe. Fu un colpo di fulmine, nel luglio del 1952 i due si sposarono. Vavà resterà al fianco di Marc tutta la vita.
A Vavà ma femme ma joie et mon allegrésse è la dedica di Chagall alla moglie, che compare all'ingresso della sala del Cantico dei Cantici al Musée du Message Biblique Marc Chagall di Nizza.



martedì 10 aprile 2012

Isola di Barbana - Grado (Gorizia)





Uno fra i più antichi e celebrati Santuari italiani, inglobati in un monastero, sorge su una splendida isoletta della laguna di Grado, l’isola di Barbana in provincia di Gorizia. 
Negli anni che vanno dall’inizio del V secolo alla fine del VI secolo dopo Cristo l’Impero romano si sfascia sotto l’urto delle orde barbariche. Nel Veneto la gente si rifugia nelle lagune: principalmente a Grado e a Venezia, che diventano grandi città rifugio. 
Dicono le cronache di quei tempi, che due trevisani detti Barbano e Tarilesso, rifugiati nelle isole di Grado, in seguito a visioni della Madonna che chiedeva l’erezione di un santuario a Lei dedicato, abbiano fatto pressione al Patriarca Elia di Aquileia perché si potesse erigere il tempio. 
Una grande burrasca, avvenuta nell’anno 582, fece trovare fra i rami di un albero una statua della Madonna, forse di provenienza istriana, qui trascinata dalle onde. Il Patriarca Elia allora fece costruire una chiesa sull’isola del ritrovamento. A lato fu costruito il convento, e ne fu eletto priore proprio Barbano, che diede così il suo nome all’isola. Il santuario visse i secoli successivi con vicende alterne: due volte fu lasciato decadere quasi fino alla demolizione; altrettante volte, con il ritorno nell’isola dei frati, assurse a nuova dignità. Nel 1237, per riconoscenza alla Madonna che aveva posto termine a un’epidemia di peste, venne istituito ogni mese di luglio un grande pellegrinaggio su barche e pescherecci partenti da Grado, che si perpetua fino ai nostri giorni, forse con maggiore fervore, ed è chiamato «El perdon de Barbana». 
Il santuario venne ricostruito una prima volta dal Patriarca di Grado, Fortunato, attorno all’anno 800 dopo Cristo. Conobbe una crisi profonda, quando venne affidato come monastero secondario ai frati benedettini di Portogruaro da Papa Leone X. Fortunatamente alla fine del secolo fu riaffidato ai frati minori conventuali, che lo restaurarono ampliando il convento e dedicando la chiesa alla Immacolata Concezione. Viene ricordata in particolare l’opera di frate Paolo Cribellio, principale artefice della rinascita del complesso, che oggi occupa praticamente tutta l’isola, ormai definitivamente ribattezzata «Isola della Madonna». 
Alla fine del 1700 la Repubblica di Venezia, prossima anche alla sua storica resa a Napoleone, allontanò nuovamente i frati per restituire il convento e la chiesa al clero secolare. Decadde nuovamente il Santuario fino all’anno 1901, quando con il rientro definitivo dei frati cominciò una nuova era di restauri e abbellimenti. 
L’«Isola della Madonna» non ha comunque mai cessato di essere punto di riferimento per i marinai e tutta la gente dell’entroterra triveneto, coinvolgendo anche la popolazione austriaca e il popolo sloveno-istriano, che ben conoscono e frequentano il santuario. Grandi pellegrinaggi e visite quotidiane di persone provenienti da tutta Italia e dall’estero, fanno ammontare a molte migliaia l’anno le presenze di fedeli al Santuario e al convento. 
La statua della Madonna, in legno, di grandezza naturale, finemente dipinta, di autore sconosciuto, opera di un’ottima mano e di fede manifesta, la rappresenta come Regina e come Madre della Chiesa, titolo che Le veniva attribuito da tempo antichissimo, nella Chiesa di Aquileia. Tiburzio Donadon ha afrescato la splendida cupola, costituita dai quattro avvennimenti storici più salienti del Santuario. Il soffitto è a carena di nave. 
La statua della Madonna, che si trova nella basilica di Sant’Eufemia a Grado, veniva originariamente posta su una barca e trainata fino all’isola da sei “reburci”, oggi sostituiti da moderni pescherecci, in rappresentanza dei sei rioni della città. Queste barche procedevano in direzione del santuario a forza di remi e, qualora il vento ne avesse impedito l’incedere, i pescatori scendevano nel fango ai lati del canale e le trainavano con delle corde. 

. La processione, che inizia di primo mattino, è guidata dalla "Battella", l'imbarcazione che trasporta la statua della Madonna degli Angeli custodita nella basilica di Grado. Nell'occasione viene aperto il ponte girevole che collega Grado alla terraferma e l'autorità civile consegna un dono simbolico alla Madonna. Il nome "perdòn" deriva dalla consuetudine di accostarsi, nell'occasione, al sacramento della confessione. 



domenica 8 aprile 2012

Pasqua di Resurrezione



Piero della Francesca “La Resurrezione di Cristo”
 Affresco -  Sansepolcro (AR), Pinacoteca Comunale, 1450 circa


Ego sum resurrectio et vita.
Qui credit in me etiam si mortuus fuerit, vivet.
Et omnis qui vivit et credit in me, non morietur in aeternum.


 ♥ Sinceri auguri di Buona Pasqua.♥
♥♥Che sia per tutti una festa di serenità, pace e amore.♥♥


sabato 7 aprile 2012

Sabato Santo



Guercino, Deposizione di Cristo, 1656


Cristo alla pace 
del Tuo supplizio 
nuda rugiada 
era il Tuo sangue. 
Sereno poeta, 
fratello ferito, 
Tu ci vedevi 
coi nostri corpi 
splendidi in nidi 
di eternità! 
Poi siamo morti. 
E a che ci avrebbero 
brillato i pugni 
e i neri chiodi, 
se il Tuo perdono 
non ci guardava 
da un giorno eterno 
di compassione? 

PPPasolini da L'usignolo della Chiesa Cattolica


venerdì 6 aprile 2012

Venerdì Santo






Deus, qui peccáti véteris hereditáriam mortem, in qua posteritátis genus omne succésserat, Christi Fílii tui, Dómini nostri, passióne solvísti, da, ut confórmes eídem facti, sicut imáginem terréni hóminis natúræ necessitáte portávimus, ita imáginem cæléstis grátiæ sanctificatióne portémus.





Venerdì Santo, prima di sera, c'era l'odore di primavera;
Venerdì Santo, le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto;
Venerdì Santo, piene d'incenso sono le vecchie strade del centro
o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera.

Venerdì Santo, stanchi di gente, siamo in un buio fatto di niente
Venerdì Santo, anche l'amore sembra languore di penitenza
Venerdì Santo, muore il Signore, tu muori amore fra le mie braccia,
poi viene sera resta soltanto dolce un ricordo: Venerdì Santo...

Venerdì Santo, prima di sera, c'era l'odore di primavera;
Venerdì Santo, le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto;
Venerdì Santo, piene d'incenso sono le vecchie strade del centro
o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera.

Venerdì Santo, stanchi di gente, siamo in un buio fatto di niente
Venerdì Santo, anche l'amore sembra languore di penitenza
Venerdì Santo, muore il Signore, tu muori amore fra le mie braccia,
poi viene sera resta soltanto dolce un ricordo: Venerdì Santo...




giovedì 5 aprile 2012

Giovedì Santo



Ultima Cena - Leonardo da Vinci 
Per incarico di Ludovico il Moro Leonardo da Vinci realizzò negli anni 1494-1498 su una parete del refettorio del convento dei domenicani di Santa Maria delle Grazie a Milano, uno dei più grandi dipinti della storia d'arte: l'Ultima cena, nel quale Gesù annuncio "In verità vi dico: uno di voi mi tradirà".



Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da usare per tutto l’anno per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni.
A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, morte e Resurrezione.
Nel tardo pomeriggio c’è la celebrazione della Messa in “Cena Domini”, cioè la ‘Cena del Signore’. Non è una cena qualsiasi, è l’Ultima Cena che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli, importantissima per le sue parole e per gli atti scaturiti; tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa degli ‘Azzimi’, chiamata Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace.
La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12); e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile).
In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la ‘cena pasquale’) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, azymos), da cui il termine ‘Azzimi’.
Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro parlò molto, con parole che erano di commiato, di profezia, di direttiva, di promessa, di consacrazione.
Il Vangelo di Giovanni, il più giovane degli Apostoli, racconta che avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il seme del tradimento, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.
Si ricorda che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.
Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”.
Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.
Dopo la lavanda Gesù si rivestì e tornò a sedere fra i dodici apostoli e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che avverrà da parte di uno di loro, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio.
“In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”, gli Apostoli erano sgomenti e in varie tonalità gli domandarono chi fosse, lo stesso Giovanni il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto, in un gesto di confidenza, domandò: “Signore, chi è?”. E Gesù commosso rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: “quello che devi fare, fallo al più presto”; fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte.
Questa scena del Cenacolo è stata in tutti i secoli soggetto privilegiato di tanti artisti, che l’hanno efficacemente raffigurata, generalmente con Gesù al centro e gli Apostoli seduti divisi ai due lati, con Giovanni appoggiato col capo sul petto e con il solo Giuda seduto al di là del tavolo, di fronte a Gesù, che intinge il pane nello stesso piatto. L’atteggiamento di Gesù e degli Apostoli è sacerdotale, ma con i volti che tradiscono il dramma che si sta vivendo.
Dopo l’uscita di Giuda, il quale pur ricevendo con il gesto cordiale e affettuoso il boccone intinto nel piatto, che in Oriente era segno di grande distinzione, non seppe capire, ormai in preda all’opera del demonio, l’ultimo richiamo che il Maestro gli faceva, facendogli comprendere che lui sapeva del tradimento ordito d’accordo con i sacerdoti e del compenso pattuito dei trenta denari; Gesù rimasto con gli undici discepoli riprese a colloquiare con loro.
I discorsi che fece, nel Vangelo di S. Giovanni, occupano i capitoli dal 13 al 17, con argomenti distinti ed articolati, dagli studiosi definiti ad ‘ondate’ perché essi sono ripresi più volte e in forme sempre nuove; ne accenneremo i più importanti.
“Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”.
E a Pietro che insisteva di volerlo seguire, assicurandogli che era disposto a dare la sua vita per lui, Gesù rispose: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte”.
Il discorso di Gesù prosegue con una promessa “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Io vado a prepararvi un posto; ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.
Il concetto del ‘posto’ o della casa che ci aspetta, risente dell’antica concezione che si aveva dell’aldilà, come una abitazione dove i defunti prendevano posto. Così nell’Apocalisse, il cielo era immaginato come una casa al cui centro stava il trono di Dio, circondato dalla corte celeste e dalle dimore dei giusti e dei santi. Anche nei testi rabbinici si legge che le anime saranno introdotte nell’aldilà, in sette dimore distinte per i giusti e sette per gli empi.
A Tommaso che gli chiede: “Se non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?”, Gesù risponde con un’altra grande rivelazione: “Io sono la Via, la Verità, la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. E a Filippo che chiede di mostrare loro il Padre, Gesù ribadisce la profonda unità e intimità fra lui e Dio Padre.
Le sue parole e le sue opere di salvezza sono animate e sostenute dal Padre, che parla e opera nel Figlio. A questo punto Gesù, per la prima delle cinque volte che pronuncierà nei suoi discorsi di quella sera, nomina il ‘Consolatore’ traduzione del termine greco “paraklitos” (Paraclito), che solo nel Vangelo di Giovanni designa lo Spirito Santo; cioè il dono dello Spirito che sostiene nella lotta contro il male e che rivela la volontà divina; riservato ai credenti e che continuerà l’opera di Gesù dopo la sua Risurrezione.
“Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi…”.
I Vangeli di Matteo, Marco e Luca dicono poi che “Gesù mentre mangiava con loro, prese il pane e pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo distribuì agli apostoli dicendo: “Prendete questo è il mio corpo”, poi prese il calice con il vino, rese grazie, lo diede loro dicendo: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”.
Gesto strano, inusuale, forse non subito capito dagli Apostoli, ma che conteneva il dono più prezioso che avesse potuto fare all’umanità: sé stesso nel Sacramento dell’Eucaristia e con il completamento della frase: “fate questo in memoria di me”, riportata da Luca 22,19, egli istituiva il sacerdozio cristiano, che perpetuerà nei secoli futuri il sacrificio cruento di Gesù, nel sacrificio incruento celebrato ogni giorno ed in ogni angolo della Terra, con la celebrazione della Messa.
Inoltre rivolto a Pietro, ancora una volta lo indica come capo della futura Chiesa e primo fra gli Apostoli: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; e tu una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”, cioè di essere da sostegno agli altri nella fede; con ciò Gesù è sempre con lo sguardo rivolto oltre la sua morte e delinea il futuro della Chiesa.
Nel prosieguo del suo discorso, Gesù ammaestra gli Apostoli con altra similitudine, quella della vite e dei tralci: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto…. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neppure voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla…”.
Poi preannuncia le persecuzioni e le sofferenze che saranno loro inflitte per causa sua: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me… Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono Colui che mi ha mandato”. “ Vi scacceranno dalle sinagoghe, anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio”.
Infine dopo altre frasi di consolazione e rassicurazione dell’aiuto del Padre attraverso di Lui, Gesù conclude la lunga cena, con quella che nel capitolo 17 del Vangelo di S. Giovanni, è stata chiamata da s. Cirillo di Alessandria “la preghiera sacerdotale”, vertice del testamento spirituale, racchiuso nei ‘discorsi d’addio’ fatti quella sera.
È una bellissima invocazione al Padre per raccomandargli quegli uomini, capostipiti di una nuova Chiesa, che hanno creduto in lui, tranne uno, perché veramente Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, e lo hanno seguito lungo quegli anni, assimilato i suoi insegnamenti, disposti con l’aiuto dello Spirito, a proseguire il suo messaggio di salvezza.
Ecco perché la Chiesa celebra oltre l’Istituzione dell’Eucaristia, anche l’Istituzione dell’Ordine Sacro; è la “festa del sacerdozio cristiano” e della fondazione della Chiesa.
Per concludere queste note sul Giovedì Santo, ricordiamo che Gesù dopo la cena, si ritirò nell’Orto degli Ulivi, luogo abituale delle sue preghiere a Gerusalemme, in compagnia degli Apostoli, i quali però stanchi della giornata, delle forti emozioni, della cena, dell’ora tarda, si addormentarono; più volte furono svegliati da Gesù, che interrompeva la sua preghiera: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”; “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”; “Basta, è venuta l’ora: ecco il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori: alzatevi e andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.
Era cominciata la ‘Passione’ che la Chiesa ricorda il Venerdì Santo; i riti liturgici del Giovedì Santo si concludono con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’Istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo.
Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.
Nella devozione popolare dei miei tempi di ragazzo, le madri raccomandavano ai figli di non giocare, di non correre o saltare, perché Gesù stava a terra nel “sepolcro”, nome erroneamente scaturito al tempo del Barocco e indicante l’”altare della reposizione”, dove è posta in adorazione l’Eucaristia.


martedì 3 aprile 2012

Parco Giardino Sigurtà - Valeggio sul Mincio - VR



Veduta del Parco Giardino Sigurtà a Valeggio sul Mincio

Il Parco Giardino Sigurtà ha una superficie di 600.000 metri quadrati e si estende ai margini delle colline moreniche, nelle vicinanze del Lago di Garda, a soli otto chilometri da Peschiera.
Trae la sua origine dal "brolo cinto de muro" (1617), giardino di Villa Maffei (opera di Pellesina, allievo del Palladio), dimora che nel 1859 fu quartiere generale di Napoleone III.
In quarant'anni di amorose cure, Carlo Sigurtà, avvalendosi di un secolare diritto di attingere acqua dal Mincio, ha ottenuto il "prodigio" di rendere lussureggiante l'arida vegetazione collinare. Successivamente, il nipote Enzo ha realizzato un prototipo di Parco-Giardino. Dopo l'apertura al pubblico (1978) la conservazione di questo complesso ecologico è stata affidata al rispetto dei visitatori, che lo hanno definito una meraviglia unica al mondo, tanto che il Parco-Giardino è considerato oggi fra i più straordinari al mondo.



I Tulipani

E' di certo la fioritura più attesa quest'anno, tanto da essersi trasformata in un vero e proprio evento: TULIPANOMANIA. Infatti, dall'ultima decade di marzo un milione di Tulipani, di oltre 150 varietà, coloreranno i tappeti erbosi del Parco, regalando per circa un mese uno spettacolo cromatico indimenticabile. Insieme a Giacinti, Muscari e Narcisi, i bulbi sbocceranno sia in forma naturalizzata, ovvero grazie al genio della Natura che anno dopo anno ha saputo creare fantastiche composizioni, sia in eleganti aiuole dove i fiori si presenteranno differenti per altezza, dimensione e colore.
La prima Grande Fioritura, la più grande nel suo genere in Italia, è caratterizzata da incantevoli macchie di colore, che vanno dal giallo arancio al rosso, dal ciclamino al bianco, senza dimenticare gli splendidi esemplari Black Charme, elegante nel suo colore nero, e Queen of the Night (Regina della Notte), varietà dai toni viola scuro particolarmente ammirata dai visitatori.


Il laghetto del Parco

E' un posto incantevole, che merita davvero una visita!

Dall'11 marzo al 4 novembre 2012, tutti i giorni con orario continuato.
Ingresso dalle ore 9.00 alle ore 18.00, chiusura ore 19.00.
Nei mesi di Marzo e Ottobre ingresso fino alle ore 17.00, chiusura ore 18.00.




domenica 1 aprile 2012

Domenica della Palme



Pietro Lorenzetti, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, 1320 circa, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi 


La Domenica della Palme è la domenica precedente alla festività della Pasqua.
Con essa ha inizio la Settimana Santa ma non termina la Quaresima, che finirà solo con la celebrazione dell'ora nona del giovedì santo, giorno in cui, con la celebrazione vespertina si darà inizio al Sacro Triduo Pasquale.
Nella forma ordinaria del rito romano essa è detta anche domenica De Passione Domini (della Passione del Signore). Nella forma straordinaria la domenica di Passione si celebra una settimana prima, perciò la Domenica delle Palme è detta anche Seconda Domenica di Passione.
Questa festività è osservata non solo dai Cattolici, ma anche dagli Ortodossi e dai Protestanti.
In questo giorno la Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino, osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma (cfr. Gv 12,12-15).
La folla, radunata dalle voci dell'arrivo di Gesù, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente gli rendevano onore.


Felice Domenica a tutti.