venerdì 10 febbraio 2012

Per non dimenticare....






“Sette storie istriane”
Un reportage di Nevio Casadio

Tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta gran parte degli italiani residenti in Fiume, Istria e Dalmazia, abbandonò la casa, il lavoro e gli affetti. Secondo le stime più attendibili, un numero oscillante tra 300.000 e 350.000 unità.

Donne, uomini, vecchi e bambini costretti all'esilio, spinti dalla perdita delle proprie terre, cedute alla Iugoslavia di Tito che aveva appena vinto la guerra di liberazione contro il nazi-fascismo.

Un esodo drammatico, indotto in prima persona dal medesimo Tito che, a partire dal 1945, aveva inviato in Istria diversi agenti allo scopo di indurre gli italiani ad andar via, adottando la stessa arma di chi aveva sconfitto: l'arma del terrore.

Prima e durante questo esodo, altre migliaia di Italiani furono uccisi: i loro corpi scaraventati nelle foibe o annegati nel mare davanti a Zara. Un intreccio di vendette, giustizialismi sommari e rivalse sociali. Un'autentica pulizia etnica per sradicare la presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia.

Il reportage di Nevio Casadio si snoda tra i luoghi dell'esodo. Tra chi restò in Istria, dov'era nato italiano e tra chi partì, per restare italiano. Il viaggio inizia a Fertilia, in Sardegna, dove approdarono in tanti:  figli della diaspora.

Il borgo di Fertilia, nei pressi di Alghero, era nato nel 1936 con la costruzione della chiesa parrocchiale ad opera dell'Ente Ferrarese di Colonizzazione, istituito da Mussolini per dare occupazione alla popolazione della provincia di Ferrara, in condizioni di estrema precarietà.

Nel dopoguerra saranno gli esuli di Istria e Dalmazia a popolare la borgata. Un insediamento divenuto, in breve tempo, un microcosmo di accenti istroveneti accanto alla comunità catalana di Alghero.

Oggi, come allora, le strade e le piazze di Fertilia richiamano i luoghi e gli avvenimenti storici del Veneto e della Venezia Giulia. Accanto alla chiesa dedicata a San Marco, svetta un campanile dalla cuspide simile a quello di piazza San Marco a Venezia. Un obelisco con il leone alato ricorda l'approdo, in terra sarda, degli esuli.

Da Fertilia, il viaggio prosegue nel Quartiere Giuliano Dalmata, in Roma. Nacque come Villaggio Operaio E42, per alloggiare gli operai impegnati nell'allestimento dell'Esposizione Universale di Roma. Con lo scoppio della guerra, gli operai abbandonarono le loro case che, dopo una breve occupazione anglo americana, rimasero disabitate. Nel 1947, dodici famiglie di profughi giuliani  si insediarono nel villaggio, ribattezzandolo Villaggio Giuliano.

Oggi, gli esuli e i figli degli esuli, hanno mantenuto le tradizioni della terra dei padri. Con la nostalgia radicata di una terra, ampliata dal ricordo di storie ascoltate e narrate nella lingua dell'infanzia, in ogni occasione.  Nei giorni di festa o di lutto.

Le telecamere oltrepassano poi la frontiera, in una terra, la Venezia Giulia, che non aveva confini. A Capodistria, in Slovenia, la televisione Tele Koper si rivolge al pubblico di lingua italiana, a difesa delle radici. Le nuove generazioni, con in tasca il passato, rivolgono lo sguardo al futuro e all'Europa, cercando di abbattere le frontiere tra gli uni e gli altri.

A Fiume, oggi nella Repubblica Democratica di Croazia, sono le donne a raccontare la loro vita di figlie di italiani fiumani, che avevano deciso di restare e vivere nella propria città, passata sotto il regine jugoslavo di Tito.

I figli e nipoti degli esuli incontrati a Fertilia, o a Roma nel Quartiere Giuliano Dalmata, sono orgogliosi della decisione presa un tempo dalla famiglia di origine, di avere intrapreso la strada dell'esodo all'insegna della libertà e dell'amor di patria. Anche le donne incontrate a Fiume, sono orgogliose della scelta dei padri che diversamente avevano deciso di restare. “Sono orgogliosa della scelta dei miei e mi sento fiumana, italiana ed europea” l'affermazione raccolta, per lo più, tra le donne della Comunità italiana di Fiume in Croazia.

Si giunge a Dignano, fino al 1945 Dignano d'Istria, oggi Vodnian: un comune della Croazia, a 10 km a nord di Pola. La popolazione italiana, con l'arrivo dei titini, per la maggior parte scelse l’esulo. Oggi, di quegli italiani, è rimasto qualcuno. In una casa che ancora conserva nella facciata le scritte con la stella rossa titina, abita uno dei pochi “restati”. Luciano Biasol, in omaggio al padre antifascista che aveva abbracciato la dittatura di Tito, ha continuato a vivere qui facendo l'agricoltore e abitando nella casa di un esule che mai più è ritornato. Oggi, l'anziano Biasol, si confronta in dialetto istriota con la nipotina che studia a Zagabria, innamorata di un ragazzo croato e dell'Italia, che visita quando può,  per incontrare i parenti italiani esulati a Torino.

A Zucconi, divenuta Cokuni, un borgo istriano di tre case sparse, tra Marzana e Dignano, sempre dalle parti di Pola, abita e vive da sempre Maria Zuccon, oggi un'anziana signora. Nella stessa casa, nacque la madre di Sergio Marchionne e in quella casa lo stesso piccolo Sergio ha trascorso parte della sua infanzia.

Il viaggio tra gli esuli italiani in Italia  e i restati nell'Istria, in Dalmazia e a Fiume, ieri terre italiane, oggi slovene e croate, approda a Basovizza. Il paese, accanto a Trieste, conserva una delle diverse foibe in cui furono sterminati, scaraventati vivi nelle cavità carsiche, migliaia di italiani, colpevoli di essere italiani. Non dimenticherà mai più uno dei testimoni allora bambino: “Sì, sì lo ricordo. 1946, avevo 8 anni. Una manifestazione in piazza, sulle finestre della prefettura, due miei cugini legati con il ferro spinato, processati davanti a tutti, davanti al popolo di Dignano, perché italiani, infoibati la sera stessa. Quei due miei cugini, infoibati perché italiani e sono stati infoibati davanti alla loro madre. Io in prima fila… Mi ricordo che venne mia madre, per non farmi assistere a certe cose… a certi insulti anche, gli sputavano in faccia, mi prese e mi diede un calcio sul sedere: -vai a casa, che non sono cose che tu possa  vedere-”.

Il viaggio tra chi “esulò” e chi “restò”, i loro figli e nipoti, termina a Trieste. Terra di confine, da sempre crogiolo di etnie e religioni diverse all'insegna, è oggi un crocevia di pace. Nel 2010, in piazza Unità d'Italia, il Maestro Riccardo Muti diresse il concerto dell'Amicizia, alla presenza dei capi  di Stato, d'Italia, Slovenia e Croazia. Nella piazza, la folla ascoltò gli Inni dei tre Paesi, riuniti nei segni di riconciliazione e di pace.

Il Presidente Giorgio Napolitano in occasione di una Giornata del Ricordo, affermò:
“Va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo, e del dolore e della fatica che costò a fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera e indipendente ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale. E va ricordata la “congiura del silenzio” [...]. "la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell'oblio”.

Nevio Casadio, giornalista, autore televisivo. Tra i diversi quotidiani e settimanali ha scritto per La Repubblica, Oggi e Il Mattino. In Rai ha lavorato negli spazi di approfondimento, da Speciale Tguno a La storia siamo noi; da tv7 a C’era una volta; da Frontiere a Piazzale degli Eroi, firmando numerosi reportage ed inchieste, in Italia e nel mondo, dai Balcani all’India. Tra i riconoscimenti, ha vinto il Premio Guidarello per il giornalismo d’autore e tre volte il Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi. Nel 2007, Enzo Biagi al suo rientro in Rai, lo ha chiamato a far parte della nuova trasmissione RT/Rotocalco Televisivo di Rai Tre, in qualità di coautore  e di inviato speciale del programma per il quale ha poi firmato numerosi reportage, prevalentemente dedicati alle vittime del lavoro e a tematiche sociali.


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